Il 16 gennaio all’Università di Teramo si è tenuto un incontro sulla “sindrome di Nimby”, in relazione all’opposizione che le costruzioni di nocività incontrano nei vari territori. Con Nimby infatti, acronimo inglese per “not in my back yard” ovvero “non nel mio cortile”, si indica l’analisi di un atteggiamento di rifiuto verso grandi opere di interesse pubblico (discariche, centrali elettriche, inceneritori, gasdotti…). Nella giornata del 16, presso l’Università degli studi di Teramo, sono stati presentati tali studi, ovvero metodi di convincimento e persuasione delle popolazioni locali restie a subire l’effetto impattante di tali opere. Secondo i sostenitori di questa teoria le proteste sono legate a ragioni di mera difesa territoriale. Queste ricerche, in realtà, sono finanziate da padroni e distruttori, utilizzate per convincere le popolazioni locali a subire il peso e le conseguenze nocive di queste opere. Dal canto nostro crediamo che lo studio sul Nimby sia soltanto uno strumento nelle mani di chi ha interessi economici e politici nelle opere, per additare e quindi devalorizzare le contestazioni come forme di difesa egoistica del proprio territorio. In realtà l’opposizione a certe forme invasive di devastazione territoriale non riguarda la salvaguardia del proprio orticello, ma nasce piuttosto dal bisogno di vivere in un mondo che non sia vittima della volontà del mercato e dei mostri che lo stesso ovunque crea. Lo sviluppo di cui hanno parlato nell’incontro universitario in realtà è solo lo sviluppo delle tasche dei relatori presenti e dei loro padroni, perché a noi, nei fatti, rimarranno solo le conseguenze nocive di un territorio devastato che non ha più niente da offrire. Il progresso come noi lo intendiamo è quello al di fuori delle logiche di sfruttamento, che parte dalle reali necessità del popolo e non dalla esigenza di arricchirsi di pochi. Per tali motivi (che avevamo anche scritto in un volantino) e per esprimere solidarietà a chi sta subendo la repressione per aver lottato contro la devastazione dei territori, eravamo andati all’incontro che l’Università aveva organizzato.
Ma, evidentemente, queste cose avrebbero dato un gran fastidio agli organizzatori del convegno, cosicché all’ingresso dell’aula dove quell’accozzaglia era radunata, un paio di sbirri della Digos ci hanno bloccato l’ingresso, mettendosi davanti alla porta dell’aula. A quel punto, impossibilitati ad entrare, abbiamo srotolato uno striscione recante la scritta “DALLA VAL SUSA A NISCEMI, LA LOTTA NON E’ NIMBY. SIAMO TUTTI NO TAV”, abbiamo esposto le nostre ragioni, urlato qualche slogan e fatta una battitura su una ringhiera esterna all’aula che ha infastidito un po’ tutti: dagli inservienti ad altri professori universitari. A quel punto, non potendo far finta di niente e, soprattutto, per salvare la faccia dell’Ateneo che, nei fatti, a delle persone non permetteva aprioristicamente di partecipare ad un convegno, il rettore dell’Università ci chiedeva che, se volevamo, potevamo entrare nell’aula ma a condizione che, in poche parole, saremmo dovuti stare zitti nel sentire le menzogne e le infamie di loschi personaggi al soldo di chi ci avvelena la vita.
Giammai, perdio, avremmo potuto ascoltare le corbellerie di soggetti schifosi senza proferire parola e giammai staremo alle concessioni di un rettore qualunque che ci dice quel che dobbiamo dire e fare e quando ciò è possibile. Ma soprattutto, nostra intenzione, non era minimamente partecipare al dibattito, perché, lo ribadiamo, noi a quei soggetti non abbiamo nulla da dire. Semplicemente perché non c’è nulla da dire a chi crede che lo sviluppo passi attraverso la distruzione dei vari territori, al loro inquinamento. Non c’è nulla da dire a chi crede che le popolazioni locali siano soggetti da manipolare a piacimento, con studi ad hoc (come in questo caso), per gli interessi di pochi affaristi, speculatori o per gli interessi statali. No! Con loro non si parla! Loro li si contesta, li si combatte!
Saremmo entrati a quel convegno solo per rispedire al mittente solo una piccola parte dello schifo che ci genera. Saremmo entrati con l’odio che proviamo nei confronti dei personaggi presenti in quell’aula, per le devastazioni che causano ovunque. Saremmo entrati con la rabbia di sapere fratelli e compagni incarcerati, per aver lottato anche contro tali sciacalli. Non saremmo mai entrati in quell’aula universitaria per stare al guinzaglio ed abbaiare di tanto in tanto, quando il padrone ce l’avrebbe permesso.
Cosicché ci siamo fatti un giro per tutta l’università, dando volantini agli studenti presenti e riempiendo le varie bacheche dei nostri volantini. Andandocene poi, guardati a vista dagli sbirri, quando lo dicevamo noi.
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