Gli ultimi giorni il Mediterraneo, come avviene ormai da anni purtroppo, è diventato la tomba per centinaia di persone. Centinaia di vite spezzate, inghiottite dal mare, che si vanno ad aggiungere alle altre centinaia, migliaia, morte in questi ultimi anni. Una strage. Una strage senza fine. Una strage che avviene lontano dagli occhi e, quindi, non percepita come tale. Eppure, le settecento o più persone, tra donne uomini e bambini, affogate l’altro giorno, hanno richiamato la sensibilità di molti. Grazie anche all’attenzione mediatica che gli è stata dedicata. Perché in molte occasioni, in tante altre occasioni, il silenzio è quel che ammanta queste immani tragedie. Eppure stavolta, una buona volta, si è sentito salire un moto irrefrenabile di indignazione, di malessere, di dolore, in tanti che hanno sentito la notizia o si sono immaginati la strage.
In tanti, giustamente e sentitamente commossi, hanno espresso il proprio dolore ed hanno affermato che No, non è possibile morire, morire annegati, per sperare in una vita migliore.
In tanti hanno provato malessere per quelle vite spezzate.
E questo sentimento dovrà continuare anche quando calerà l’attenzione mediatica, quando i morti saranno “solo” qualcuno, da non far gola al cannibalismo dei media.
Se quel sentimento continuerà, dobbiamo sapere che le persone che muoiono in mare, scappano da una miseria che anche noi, come occidente, contribuiamo a creare.
Se quel sentimento continuerà, dobbiamo sapere che la politica, di tutti i colori, è responsabile di campagne discriminatorie, vessatorie, di strutture di reclusione contro gli immigrati.
Perché se quel sentimento continuerà, dobbiamo sapere che fin quando esisteranno gli Stati, esisteranno frontiere dove le persone moriranno, e fin quando esisterà il capitalismo i flussi migratori saranno fenomeni di massa, dai luoghi della miseria ai luoghi dove il capitale distribuisce qualcosa in più della sopravvivenza.
Se abbiamo a cuore quelle vite, dobbiamo combattere i nostri Stati che vendono ai paesi da dove vengono quelle persone le armi. Dobbiamo combattere i nostri Stati che lucrano sulla povertà di quelle popolazioni.
Se abbiamo a cuore quelle vite, dobbiamo attaccare le multinazionali che impoveriscono, distruggono, rubano materie prime in quei territori.
Se abbiamo a cuore quelle vite, ogni volta che vedremo in piazza banchetti dei politici, assisteremo ai loro comizi, o passeremo davanti alle loro sedi, dobbiamo distruggergliele.
Se abbiamo a cuore la vita di quelle persone, quindi, dobbiamo fare la guerra a quel sistema e a quelle strutture che li uccidono, che poi sono le stesse che, a gran parte di noi, rendono la vita sempre più difficoltosa.
Perché sentire malessere, esprimere il dolore o scrivere la rabbia, forse tranquillizzerà per un po’ le nostre coscienze. Ma se non agiamo, se non combattiamo contro gli autori di queste carneficine, ne saremo complici.
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