Aggiungiamo una nota a margine degli spunti già espressi ieri in merito al corteo di Lanciano di sabato, contro le trivellazioni. E lo facciamo in conseguenza di un trafiletto uscito in un giornale locale, in merito all’ottima riuscita del corteo (a loro dire), a cui ha contribuito anche il servizio d’ordine interno, che non ha permesso che una cinquantina di birboni facessero i birboni. L’aspetto più interessante di questa vicenda non è certo quella di rispondere alle fandonie del giornalista o del comitato organizzatore, nel caso in cui queste fandonie fossero uscite da quest’ultimo. E fandonie lo sono, non solo perché i cinquanta erano in realtà un po’ di più, non erano mascherati e non erano in “assetto da guerra” (forse a questo si riferiva lo scritto con il termine “anfibi”), ma fandonie lo sono, perché i birboni in questione non erano andati a Lanciano con intenzioni bellicose, tutt’altro. E quindi non è stato “merito” (se di merito si può parlare) di nessun servizio d’ordine…
Ma sta di fatto che queste, da qualunque bocca o penna sono uscite, sono fandonie e come tali devono essere trattate: senza dargli troppo importanza.
Il discorso su cui si può riflettere però è un altro: che qualcuno giochi a “buoni” e “cattivi” è ovvio, anche se si dovrebbe vedere chi questo gioco lo fa…
Meno ovvio è il clima in cui questo giochetto si inserisce, la narrazione in cui questi discorsi prendono piede. Bene, se questa narrazione non è chiara, se non si ammette espressamente chi sono i responsabili delle, ad esempio in questo caso devastazioni, si corre il rischio che nemico venga visto chi potrebbe essere compagno e fratello di lotta. Un po’ come avviene per la povertà dilagante in cui la narrazione del potere, la retorica del potere, spinge a vedere il nemico nello straniero, nell’immigrato, nell’invasore, piuttosto che nel padrone sfruttatore e nel sistema del capitale.
Proprio così, anche in contesti di lotta può avvenire.
Mentre avviene con più difficoltà ad esempio in lotte reali, tipo la Val di Susa, in cui è chiaro chi è il nemico: lo Stato con la sua frenesia di produzione di merci e la violenza dell’imposizione del suo dominio. Avviene certo con più difficoltà, ma spetta a chi crea e contribuisce a far crescere le lotte che maturi e prenda corpo la narrazione del conflitto e dell’emancipazione, piuttosto che la retorica del potere.
Ed è ovvio che questo percorso tocca costruirlo, ma quando si aggiungono passaggi ad esso, bisogna sapere o immaginare in che direzione si sta andando.
Per questo, fin da ora, fin da Lanciano ed ancor prima, i ruoli in campo tocca chiarirli ed abbiamo provato a farlo un minimo con lo scritto portato nella città frentana, per non confondere fratelli di lotta per nemici, per non confondere l’anima del corteo con i suoi sciacalli.
Per questo fin da ora, la narrazione deve essere chiara su chi sono i responsabili e come si impedisce, realmente, il saccheggio del territorio.
Per questo dobbiamo capire che, se usiamo gli strumenti del potere, ben presto verremo usati.
Con tutto ciò che ne consegue, per noi, per chi abbiamo attorno e per ciò che ci circonda.
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