Circa un mese fa è stata incendiata una gru di Terna, nel comune di Paglieta, in provincia di Chieti. La gru serviva per montare gli enormi tralicci che stanno invadendo quel territorio, nella costruzione dell’elettrodotto Villanova-Gissi, fortemente osteggiato dalla popolazione locale. Qui un articolo e qui un altro al riguardo. L’azione compiuta contro la gru di Terna ha alzato un polverone di polemiche e di condanne del gesto. Chi sta scrivendo questo articolo non sa, né vuole sapere chi sia stato ad incendiare quella gru, perché l’aspetto interessante della questione, su cui si può discutere, è tutt’altro. E non entriamo nemmeno nella giustezza del gesto in quanto tale. Non entriamo nella sua eticità, perché come diceva qualcuno ben più saggio di noi, “La violenza è giustificabile solo quando è necessaria per difendere se stesso e gli altri contro la violenza. Dove cessa la necessità comincia il delitto… Lo schiavo è sempre in istato di legittima difesa e quindi la sua violenza contro il padrone, contro l’oppressore, è sempre moralmente giustificabile”. In poche parole, da un punto di vista etico, lo sfruttato è sempre giustificato ad attaccare chi lo sfrutta, chi gli porta distruzione.
Ma, come detto, qui non si vuole entrare nel merito del fatto in sé, a sé stante, ma considerarlo inserito in un contesto. Ed il contesto in cui va ad inserirsi è quello della lotta contro le nocività che questo sviluppo ci propina costantemente. Il parallelo è presto fatto con altre lotte simili che ci sono sul territorio italiano. Vien da pensare, una su tutte, alla lotta contro la Tav in Val di Susa. In quanti, ad esempio, prendono questa lotta come riferimento, come espressione della resistenza di una popolazione alla distruzione che il potere vorrebbe imporre? In quanti l’hanno sentita e la sentono vicina? In quanti hanno espresso solidarietà a tutte quelle persone che resistevano, che attaccavano il cantiere, che sabotavano un compressore all’interno di esso? In quanti hanno ritenuto giusta la loro causa ed il loro modo di agire?
In tanti, in tantissimi, giustamente. Anche in Abruzzo.
In quanti hanno detto, scritto, organizzato iniziative per la libertà dei No Tav, accusati di sabotaggio (un incendio di un compressore) all’interno del cantiere dell’alta velocità?
Per questo la domanda iniziale di tale articolo: perché in Val di Susa va bene ed in Abruzzo no?
Chiarito che il discrimine non può essere l’eticità dell’azione, una risposta a tale quesito (che si può sentire in giro) che valuta il gesto nel suo insieme può essere: “perché l’incendio della gru di Terna è avvenuta in un momento in cui il consenso attorno a tali pratiche non è così evidente e rischia di far fare alla mobilitazione dei passi indietro”.
Al riguardo tocca fare un paio di riflessioni. La prima è che il consenso che si costruisce attorno a delle pratiche, cresce, matura, si sostanzia, dal momento in cui tali pratiche si iniziano a mettere in campo, a sperimentare, ad assaggiarne l’eco e l’efficacia. Se pratiche conflittuali vengono escluse dall’orizzonte, difficilmente un domani cadranno dal cielo e si diffonderanno come un cancro per gli oppressori.
La seconda riflessione, altrettanto banale, considera lo stato della lotta: fare in modo che delle pratiche radicali siano assorbite e riprodotte da tutti (o perlomeno che abbiano, come detto, un ampio consenso), presuppone che tale lotta abbia una progressiva crescita in divenire, sia temporale, che qualitativa.
La gru che è stata incendiata nel cantiere di Terna serviva per ultimare un elettrodotto ormai quasi concluso. Ciò detto: tale mobilitazione, quali prospettive poteva rappresentare? Da un punto di vista della crescita, di metodi e contenuti?
Nel senso: tale lotta quali prospettive può avere nel momento in cui l’oggetto contro cui si lotta è in fase di costruzione e completamento?
Ognuno/a può darsi e dare le risposte che crede.
Perché in fin dei conti, queste semplici e banali riflessioni possono essere solo da stimolo per tutte quelle persone che, sinceramente, si stanno opponendo alla costruzione di questa, come di tante altre, nocività. Però questa vicenda una cosa ce l’ha insegnata: se chi ci vuole sottomessi fa di tutto affinché le nostre siano posizioni, al massimo, difensive; c’è chi (chiunque esso sia) ci ha detto e ci ha mostrato che contro i nostri oppressori, non possiamo solo difenderci, ma possiamo anche attaccare, ed è giusto!
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