È notizia di questi giorni, l’arresto del capo di casapound di San Benedetto del Tronto, per dei pestaggi gratuiti che il fascista ha compiuto nella città rivierasca tra febbraio e marzo di quest’anno. Tra le persone pestate anche due ragazze e, lo ripetiamo, queste aggressioni sono avvenute senza alcun motivo o, meglio, con i soli motivi che un pezzo di merda può avere in testa, con i soli motivi che un fascista può avere: la violenza per il gusto della violenza, per il piacere della supremazia, per la volontà di imporre sottomissione.
A suo tempo non scrivemmo niente. Vuoi perché non è strettamente il territorio a cui facciamo riferimento, in cui svolgiamo il nostro lavoro quotidiano da compagni e la nostra militanza. Territorio in cui conosciamo dinamiche, ruoli, e quel che si muove nei sottoboschi della città, che non passa tra le pagine sbirresche di un quotidiano o tra quelle sensazionalistiche di un osservatore quotidiano. Queste cose, di San Benedetto, non le conosciamo. Anche se, bisogna dirlo, non è che sarebbe servito sapere queste cose per parlare, inveire, agire, contro la violenza fascista, contro simili infamie. Ma non ne abbiamo parlato anche perché, nella prima aggressione, che hanno subito delle ragazze, le vittime si son rivolte fin da subito agli sbirri ed alla magistratura per denunciare quel bastardo fascista. Ora, non sta a noi giudicare l’operato di chicchessia, ma, in tutta sincerità, con denunce, sbirri e magistrati non vogliamo avere niente a che fare.
Anche se dovessimo subire la più vile infamia da un fascista.
Rimane il fatto che comprendiamo anche delle ragazze che, forse in assenza di alternative di risposte o per scelta deliberata (non lo sappiamo), per rispondere al sentimento dell’ingiustizia subita hanno scelto la via delle istituzioni. Lo ripetiamo, non sta a noi giudicare, anche se con certe cose non vogliamo avere niente a che fare. E, per questo, quando successero quei fatti non scrivemmo niente. Ma ora, con l’arresto di quella putrida merda, tocca dire alcune cose.
Partiamo dalla semplice considerazione che qualcuno, a sinistra, di questo arresto sta brindando. Questo brindisi ha tanto la sensazione di un inganno, di una trappola. Perché questo brindisi non brinda alla giustizia, al fatto che il fascista o i fascisti abbiano pagato; ma brinda piuttosto agli sbirri ed ai giudici.
In alto i calici per sbirri e magistrati!
Perché, in fin dei conti, son loro che stanno facendo pagare, in qualche modo, a quel bastardo il torto subito da le due ragazze e da quel signore cinquantenne dell’altra aggressione.
E ciò pone un duplice problema: la legittimazione delle istituzioni, nello specifico per quel che riguarda la giustizia, che quindi diventa sinonimo di legalità, e la mancanza da parte dei compagni di poter, saper intervenire in queste situazioni.
Per quel che riguarda la legittimazione che le istituzioni, in tal modo, hanno, il discorso è semplice e lineare. Perché sappiamo bene che la giustizia, quella vera, non ha niente a che spartire con la giustizia statale, con la giustizia dei tribunali. Giustizia statale che invece, ha molto da spartire con i fascismi vari, usati come bassa manovalanza laddove le leggi non arrivano. Quindi, per noi, controbattere a quella merda fascista, a tutta la sua cricca, e quel che fanno e rappresentano, vuol dire controbattere anche alle stesse istituzioni che in questi giorni, ad esempio, hanno fatto l’arresto dell’esponente di casapound. Perché sono della stessa famiglia, con compiti e ruoli diversi, ma svolgono la stessa funzione repressiva, oppressiva e di controllo, (coscientemente o meno non ha importanza) a beneficio di coloro che detengono il potere. In questa situazione invece la giustizia statale e l’operato delle forze dell’ordine escono solo rinvigorite e rafforzate di credibilità agli occhi delle persone.
Ed arriviamo al secondo aspetto di cui accennavamo poco prima: la mancanza da parte dei compagni in questa situazione. Ed in tale gruppo, a scanso di equivoci, è ovviamente compreso chi partecipa e scrive su questo blog.
Però partiamo da un presupposto: ragioniamo sul nostro essere compagni.
Beh, i compagni, etimologicamente, sono coloro con cui condividi il pane, coloro con cui condividi la sopravvivenza, oltre che le lotte, coloro con cui scegli di condividere. Quindi vediamo bene, e questa non è etimologia, ma una nostra considerazione, che compagni non sono necessariamente coloro che sanno imbastire bei discorsi, si rifanno ad un determinata area politica o conflittuale, o conoscono i trascorsi di passati illustri. Per noi compagni sono coloro con cui condividiamo una situazione, una lotta, una esigenza, una istanza, una rabbia. Sono quelli di cui fidare e confidare. Sono quelli che ti danno un consiglio e non una condanna per qualche tuo errore. Sono quelli di cui puoi esser certo che si buttano nella mischia per rialzarti se sei per terra o che si privano di qualcosa se ne hai bisogno. I compagni, per noi, non hanno a che fare con lo scherno, con il dileggio, con il chiacchiericcio, con il giudizio borioso, con la superiorità, al tempo stesso borghese e provinciale, contro altri compagni o contro altri sfruttati. I compagni hanno le mani sporche del lavoro che quotidianamente fanno in questa misera e miserabile realtà. Hanno l’umiltà nei confronti di altri loro simili, ma anche la determinazione quando la situazione la richiede. Hanno la voglia, la gioia, l’entusiasmo, di partecipare alle lotte, di apprendere, di arricchirsi umanamente, di rischiare. Di criticare ed adoperarsi per far avanzare il conflitto sociale. Non hanno la spocchia del professore che dispesa giudizi e di ciò si sente appagato.
Certo è, che non sta a noi, né intendiamo farlo, dire chi siano i compagni e chi no. Nell’elenco che abbiamo fatto infatti, nelle accezioni negative, non possiamo né vogliamo dire che chi ha certi atteggiamenti non è compagno; solo è che non li sentiamo come compagni (e probabilmente la cosa è reciproca) e, soprattutto, tante altre persone, che compagne e complici potrebbero esserle, probabilmente neanche loro li sentono come tali.
Anche con tutto questo tocca fare i conti, un po’ tutti (anche chi sta scrivendo ovviamente), perché quando avvengono situazioni come quella di San Benedetto, non avvengono per caso o dal nulla; dal momento che quel che abbiamo attorno, al di là delle mille difficoltà, è anche quel che riusciamo a costruire noi stessi, per primi, giorno per giorno.
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