In un articolo comparso ieri su un quotidiano locale, in merito al corteo di Pescara dello sciopero sociale, si faceva esplicito riferimento al ruolo che – a loro dire (dei giornalisti e quindi della questura) – gli infiltrati avrebbero avuto all’interno della manifestazione e potrebbero avere per le future mobilitazioni. A partire dalle mobilitazioni contro l’elettrodotto Villanova-Gissi. Fin qui niente di nuovo! I tutori dell’ordine hanno, come tutti ben sappiamo, come primo compito quello di soffocare ogni minimo impulso di ribellione all’ordine costituito e, tra i tanti modi infami che usano, c’è sicuramente quello di cercare di dividere tra chi protesta, i buoni dai cattivi, i manifestanti educati dagli infiltrati. Niente di nuovo sotto il sole, quindi. Così come non sono nuovi gli appoggi che una certa sinistra dà a queste tesi, ed esempio lampante sono tutte le dimostrazioni di piazza che esprimono la propria rabbia ed una certa conflittualità, in cui qualcuno, a sinistra, avalla e perora le tesi e le dinamiche repressive della divisione tra buoni e cattivi.
Ed allora dov’è la novità?
Semplice, che non ci crede più nessuno! Che i movimenti di lotta, reali, (ed esempio lampante è il movimento No Tav), hanno imparato che non vi sono infiltrati, ma solo compagni e compagne, fratelli e sorelle con cui confrontarsi, discutere, lottare. E si è capito che la solita filastrocca della divisione tra buoni e cattivi, serve solo al potere per dividere e fiaccare le lotte. Ai giornalisti non crede più nessuno, così come non crede più nessuno, fortunatamente, ad una certa sinistra, e ciò è dimostrato anche da un continuo indebolimento di tale soggetto politico.
Perché quindi scrivere queste righe, per ribadire cose che già sappiamo?
Innanzi tutto perché, anche banalmente, ripeterle certe cose non fa mai male. E poi, per dire, che quando qualcuno, chiunque esso sia, ha pensato bene di cacciare dalla piazza i fascisti o di imbrattare la banca d’Italia al corteo dell’altro giorno a Pescara, non solo ha fatto cosa buona e giusta, ma molto probabilmente ha provocato tanti sorrisi di approvazione e soddisfazione in molti che erano nel corteo ed in tanti altri, che al corteo non c’erano, ma saranno venuti a conoscenza di queste azioni. In tanti avranno detto, avranno pensato: “Hanno fatto bene!”. E questo sentimento, va detto, va scritto, va diffuso, va condiviso. Perchè in tal modo si vincono le paure, ci si convince delle proprie idee, ci si sente meno soli, si trovano dei compagni, dei fratelli, dei complici. In tal modo ci si fa forza e si agisce. Ci si convince di essere nel giusto e ci si sente parte di una lotta, viva, reale.
E gli infiltrati?
Forse, a dir la verità, a volerla dire tutta, c’erano:
con quel fare impacciato che li fa andare a coppie come, come quello che sappiamo… con quelle domande fuori posto, il borsellino a tracollo, l’occhialino da sole tagliato, il capello a posto, o la finta kefia. Con la telecamerina, il consiglio da persone navigata, e la goffaggine di chi nella vita non poteva far altro che lo sbirro…
Avevano ragione, c’erano. Degli infiltrati c’erano. E di loro bisogna seriamente far attenzione. Così come bisogna far attenzione di coloro che, non sono pagati per il controllo e la repressione, ma ne svolgono uguale funzione all’interno delle lotte, avallando tesi e metodi dei controllori. Sì, di loro bisogna far attenzione.
Quindi, avevano ragione nel dire che degli infiltrati c’erano al corteo. Bisogna imparare a riconoscerli e, come consigliano nell’articolo: “impermeabilizzare i cortei rispetto ai tentativi di infiltrazione”.
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