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Ma ne abbiamo veramente bisogno?

Molte volte, non sempre fortunatamente, i contesti con cui andiamo ad interagire, come compagni e compagne, ci vedono abbastanza marginali rispetto a quella che è la situazione concreta e reale. Ultimamente, ad esempio, in un interessante dibattitto, si discuteva su quale poteva essere il nostro ruolo nelle varie situazioni di conflittualità che si vanno a creare nel mondo del lavoro o, più generale, in situazioni di lotta di classe. E si rimarcavano, giustamente, le difficoltà, in primis nell’interazione, ma poi, superato questo scoglio, nell’apportare contenuti e pratiche in questi contesti di lotta. E queste considerazioni erano avvallate da tutta una serie di esempi e racconti di compagni che negli anni si sono sbattuti, e non poco, in questi ambiti.

Ma non sempre è così, fortunatamente. Non sempre, per capirci, si possono trovare queste difficoltà comunicative e di consenso attorno a dei contenuti e, forse, attorno a delle pratiche. Di esempi ne facciamo uno solo (ma se ne potrebbero fare diversi), perché è dove vogliamo incentrare il nostro discorso. E ci riferiamo alle varie lotte che ci sono nei territori contro le devastazioni ambientali, contro i profitti delle multinazionali e contro la complicità della politica istituzionale. In queste situazioni non c’è bisogno di tante mediazioni con le persone con cui andiamo ad interagire, perché l’essere contrari a questa o quell’atra nocività basta per essere integrati in un contesto di lotta. Discorso diverso invece sulle pratiche, ma su questo aspetto ci ritorneremo. E può avvenire, ed avviene!, che situazioni organizzate da soli compagni, abbiano una forte partecipazione da parte delle persone. Che siano, queste situazioni, iniziative informative o situazioni di piazza, come il corteo contro il nucleare di qualche anno fa organizzato solo da compagni a San Benedetto del Tronto (nonostante la sciacallaggio di organizzazioni ambientaliste che, a posteriori, volevano accaparrarsi la riuscita del corteo!), che ha visto la partecipazione di centinaia di persone. E questo, ovviamente, è un bene. È un bene avere consenso attorno a quello che, autonomamente, si organizza. È un bene che permette di instradare una lotta verso certi contenuti e certe pratiche, che, al contrario, in molti contesti molto spesso vengono frenate, se non impedite, da tutta una zavorra di controllo istituzionale.

Qualcuno ora sbraiterà che, senza il consenso di anche quella parte di “società” (quella istituzionale, tanto per capirci), non si arriva ad un largo “pubblico”. A parte che quest’ottica non ci appartiene, ma attenendoci al filo logico del discorso, diciamo che ciò non è vero. Non è vero che bisogna interagire con certi personaggi per arrivare ad un vasto uditorio, e l’esempio citato ne è la prova, e ce ne sono svariate di situazioni che stanno lì a dimostralo.

Qualcun altro sbotterà: “bisogna abbandonare la spocchia da compagni e parlare con la gente!”

Bene: con la gente! E l’assessore, il grillino o il sindaco del Pd, che c’entrano?

“Tramite loro, si arriva a tante altre persone e la lotta prende un ampio respiro, si legittima, diventa più reale ed efficace”, risponderà qualcun altro.

Dracula-il-vampiro-No, Perdio! Tramite loro arriveranno alle persone solo i messaggi che loro vorranno arrivino. Tramite loro si legittimerà l’operato del Pd, che è il vero responsabile di queste distruzioni. Tramite loro si giustificherà il doppiogiochismo che i politici, della stessa famiglia, fanno nei territori e nei palazzi del governo. Tramite loro la lotta diventa istituzionalizzata e ciò vuol dire che non sarà più lotta! Tramite loro si favorirà la rappresentazione spettacolarizzata di un’istanza, che in tal modo perderà di efficacia e non avrà niente a che fare con la realtà di chi non vuole che i territori siano distrutti. Perché sono loro che ci distruggono i territori e rendono le nostre vite precarie e sempre più misere.

Queste semplici riflessioni, a scanso di equivoci, non vogliono giudicare l’operato di bravi e onesti compagni che, in buona fede, portano avanti certi progetti. Ma anche a loro ci rivolgiamo quando vien da chiederci: ma abbiamo veramente bisogno (ancor di più in questi contesti in cui, come dimostrato, abbiamo ampi margini di consenso), di stare a braccetto con i nostri assassini?

Questa domanda, che vien fuori da queste semplici riflessioni, vien da estenderla a tutte quelle persone che hanno a cuore le sorti del nostro territorio, così come l’abbiamo noi.

Posted in critica radicale, nocività.