Ultimamente, la corte d’Appello di Ancona ha condannato un compagno ad una pena pecuniaria di qualche centinaia di euro per un imbrattamento. Il compagno era processato per: rifiuto di aver fornito le proprie generalità, imbrattamento ed esplosioni pericolose. I fatti in questione risalgono al 2009, in cui fu arrestato un nostro amico e compagno per dei reati che vengono definiti “comuni” e rinchiuso nel carcere di Ascoli. Fin da subito fu organizzato un presidio per lui ed in solidarietà con tutti i detenuti del carcere. L’attenzione attorno a questo presidio fu fin da subito molto alta, dovuta anche al fatto che nel carcere ascolano sono rinchiusi detenuti in 41bis e l’amministrazione penitenziaria non voleva in alcun modo che vi fossero contatti con l’esterno.
Appena iniziato il presidio di solidarietà furono sparati da parte dei solidali diversi petardoni per richiamare l’attenzione dei detenuti che risposero con urla di giubilo. Ma richiamarono anche l’attenzione delle forze dell’ordine che cercarono d’identificare alcuni compagni e subirono il diniego deciso da parte di quest’ultimi. Poi, tra messaggi di solidarietà, musica ed interventi dall’impianto, il presidio andò avanti, fin quando scoppiò un lungo ed entusiasmante tric-trac all’esterno di un muro di cinta laterale del carcere. Al che, in preda al panico, la digos accorse per vedere di che si trattava… e mentre i volponi si spostavano su un lato per vedere che stava succedendo fu fatta una grande scritta contro le galere sul muro d’ingresso del carcere ascolano.
Questi i fatti.
Da dentro il carcere ovviamente in molti furono contenti per quella giornata e ricevemmo diverse lettere di ringraziamento e di stima.
Ora però la domanda che vorremmo porre è un’altra. Tante volte, nel sentire comune, si afferma che non ne vale la pena. Che si passano i guai se ci si mette in gioco, se ci si mette contro il potere, se si fa uno scatto di dignità per riprendersi le proprie vite. Ed in molti s’interrogano, come detto, se ne valga la pena. Ed è la domanda che vorremmo porre anche noi a chiunque.
Certo è che, se la risposta a tale domanda fosse vincolata ad un valore etico e di giustezza di quel che si fa, è ovvio che la risposta sarebbe si! Ne vale la pena!
E solo in base a tali parametri di giudizio (eticità e giustezza) le azioni andrebbero commisurate ed effettuate.
Al tempo stesso però si capisce bene come la repressione sia un grosso freno per atti di ribellione o di semplice dignità. Sappiamo bene ad esempio che abbiamo fratelli e compagni che stanno pagando duramente per le loro scelte. È questo diviene anche un monito per tutti gli altri che vogliono alzare la testa. Ma al tempo stesso la storiella come quella che è stata raccontata in questo articolo, serve per dire che tante volte ce la possiamo “sgamare”. Che anche quando veniamo “pizzicati” ci sono mille possibilità per fregarli. E poi, e qui si va ad immaginazione, chissà quante innumerevoli volte vengono compiute azioni, atti individuali e collettivi, di ribellione e dignità, e, fortunatamente, non viene “sgamato” nessuno…
Quindi, un momento di evasione (anche se solo mentale) e un po’ di gioia da parte di persone detenute hanno un valore etico a prescindere. Così come ce l’ha qualunque azione di dignità, giustizia sociale e libertà. E di conseguenza, a prescindere, ne vale la pena. Ma visto che ci rivolgiamo anche ai più scettici, questa storiella sta a dirci che anche per quanto riguarda le conseguenze giuridiche delle nostre azioni, ne è valsa e ne vale la pena.
Perché, in fondo in fondo, cos’è una multa rispetto alla creazione di rapporti solidali tra sfruttati?
Cos’è rispetto ad un sorriso o un ringraziamento di una persona reclusa?
Cos’è rispetto alla vita che ogni giorno i nostri aguzzini ci rubano?
Niente!
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