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Il salotto

Il 27 dicembre il Comune di Vasto organizza la commemorazione, con tanto di lapide commemorativa in centro città e presentazione di un libro in suo onore, di un suo “illustre” concittadino: Antonio Cieri. Antonio Cieri (sotto in una foto) è stato un compagno anarchico sempre in prima fila ed alla testa delle rivolte, delle insurrezioni e delle resistenze che hanno animato diverse parti d’Europa a cavallo tra gli anni venti e gli anni trenta del novecento. Lo ritroviamo infatti nella rivolta di Ancona del 1920 e nella difesa di Parma del 1922 dall’attacco dei fascisti. Esiliato in Francia continuò a collaborare alla pubblicazione di riviste anarchiche. Andò in Spagna a combattere per la causa della rivoluzione spagnola e fu a capo della squadra dei bomberos, da lui appositamente addestrata per l’assalto. Faceva parte della colonna Ascaso che, in seguito alla militarizzazione delle milizie imposta dai stalinisti, rimase formata da soli anarchici che non accettarono il dogma sovietico. A quel punto, per un breve periodo purtroppo, Antonio Cieri fu a capo della colonna Ascaso; per un breve periodo perchè cadde in combattimento, in circostanze non molto chiare (come successe poi in seguito a molti anarchici ammazzati dagli stalinisti) il 7 o 8 aprile del 1937, a neanche 39 anni.

Un così valoroso compagno viene messo sul mercato della politica dalle istituzioni vastesi, che lo inseriscono negli appuntamenti comunali. La lapide ad Antonio Cieri viene scoperta in piazza dal sindaco e da un assesore della provincia. Lapide che prima di essere scoperta, era ammantata da una, a dir poco contradditoria, bandiera italiana…

Ma è alla presentazione del libro, in una delle sale più chic della città, che la memoria di Antonio Cieri viene ancor più infangata. Infatti, dopo una disquisizione didattica sulla vita del compagno, gli interventi delle autorità e di personaggi simili, tendono a raffigurare Antonio Cieri come un paladino della loro repubblica, della loro democrazia, della loro costituzione. Questi personaggi arrivano al punto di giustificare la loro esistenza, grazie al sacrificio del nostro compagno.

Troppo, perdio!

A quel punto un ragazzo prende il microfono, ricorda ai presenti che Antonio Cieri era Anarchico. Che quindi nulla aveva a che vedere con la loro repubblica e con la loro costituzione. Inizia così a serpeggiare un certo nervosismo nel salotto. Ma un altro ragazzo prende il microfono. Ricorda ai presenti che l’anarchismo non è solo un esercizio, o peggio un lavoro, di storiografia. Che gli anarchici esistono tutt’oggi e tutt’oggi lottano e subiscono la repressione delle stesse istituzioni presenti in quel salotto. Il ragazzo ricorda alcuni compagni rinchiusi in carcere e, a quel punto, qualcuno presente in sala inizia ad applaudire. Ricorda che la storiografia è importante, ma che perde di senso quando diventa finalizzata al lucro. Che esiste una ricerca storiografica svincolata da qualsiasi logica commerciale che anzi, questa ricerca, serve ad aiutare le lotte. Ricorda soprattutto che la memoria dei compagni si porta avanti con le teorie e con le azioni e che ad Antonio Cieri, così come ad altri anarchici abruzzesi del passato citati dagli oratori del salotto, una simile poltiglia istituzionale, avrebbe solo fatto schifo!

A quel punto alcuni applausi si mescolano all’imbarazzo di gran parte della sala e all’imbarazzo degli oratori che, annaspando tra delle giustificazioni, invitano al prossimo banchetto.

E così mentre quelli incravattati banchettano, un manipolo si forma attorno ai ragazzi che avevano preso la parola, per dire loro che avevano ragione, che quelli che erano presenti in sala erano una mandria di porci, che con Antonio Cieri non avevano nulla a che fare.

Niente di che. Anzi, troppo poco.  Solo che qualcuno in più sa che esistono degli anarchici e esiste una loro visione del mondo. Ma soprattutto esiste un modo di porsi nei confronti del dominio, che non scende a compromessi, che ancora ha nella lotta e nell’autorganizzazione i suoi principi. Principi che ancora riescono ad attirare e far muovere le ire degli sfruttati.

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