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Se stessero parlando di libertà?

libertaDurante la settimana, una sessantina di rifugiati ospitati in una struttura a Campli (Te), sono scesi per strada nella cittadina farnese per protestare per le condizioni in cui vivono. Nello specifico lamentavano il fatto di volere le 2,5 euro al giorno che spetta loro, in soldi, piuttosto che in ricariche telefoniche. Protestavano per il cibo scadente che gli veniva fornito, il fatto di essere in troppi nelle camerate, problemi con i vestiti e con la connessione wi-fi.
Immaginate un po’ tutti, il coro di sdegno che si è alzato per questa protesta.
“Come” han borbottato più o meno pubblicamente molti cittadini “gli viene dato da mangiare, bere, da dormire, ricariche e non gli basta? Anche il wi-fi?”
“E noi italiani, che non ci viene dato un cazzo?!?” Sempre il vociferare che si è sentito, riguardo alla protesta dei rifugiati a Campli.
Partiamo da una prima considerazione: fa un po’ strano sentire, leggere tutte queste italianissime lamentele contro i rifugiati, espresse, urlate, biascicate tra un selfie in salento, pubblicità di eventi estivi e brodetti di pesce. Perché forse qualcosa da mangiare ce l’avete anche voi, e forse non solo quello. Ma lasciamo perdere. Lasciamo perdere la solita lezioncina che potremmo fare a chi ruba risorse a popolazioni che vengono qua per sopravvivere. Lasciamo perdere, stavolta.
Perché vogliamo un attimo ragionare sulle richieste che hanno fatto i rifugiati.
Richieste comprensibili e normali per chi vive nelle nostre società. Parliamo ad esempio della tanto criticata richiesta del wi-fi. Ve l’immaginate, ad esempio, drogate come sono le persone, di spettacolo ed apparenza, se gli togliessero quei cazzo di cellulari a cui stanno sempre attaccati per parlare di mille minchiate o per sopperire alla vita sociale che non c’è. Ve l’immaginate se glie li levassero?
E dei ragazzi, che vivono isolati in un contesto sociale (perché non è facile interagire, da esterni, con un altro contesto sociale, al di là della partitella a pallone cui il giornale fa le fotografie…), cosa c’è di strano se cercano un po’ di “evasione” con un collegamento wi-fi? Cosa c’è di strano se cercano il wi-fi, che serve loro per sentire, telefonare ai propri cari?
Cosa c’è di strano, per voi che piangete da due mesi per quanto fa caldo, che dei ragazzi si lamentano di stare in stanze con cinque, sei, sette posti letto?
Cosa c’è di strano, per voi che speculate sulle diversità culinarie del vostro territorio, che fate file chilometriche e spendete bei soldi per il prodotto artigianale, che dei ragazzi cerchino un cibo dignitoso o di non mangiare un cibo che, per loro cultura, non mangiano?
Cosa c’è di strano, per voi che se non comprate a voi o ai vostri figli i vestiti dell’ultima stagione, che dei ragazzi, per l’estate chiedono semplicemente delle magliette e dei pantaloncini?
C’è di strano, dicono le voci italianissime di questi giorni, che ai i rifugiati queste cose sono regalate e agli italianissimi no.
C’è di strano, rispondiamo noi, che i vestini all’ultima moda per gli italianissimi molto probabilmente li cuciono persone dall’altra parte del mondo come i rifugiati.
C’è di strano che il pomodoro con cui fai la caprese estiva, molto probabilmente te l’ha raccolto un ragazzo come i rifugiati che stanno a Campli. Un ragazzo forse come Mohammed, morto nelle campagne di Nardò, mentre raccoglieva pomodori.
E via dicendo. Ma non volevamo cadere in questo discorso, in questa dicotomia. Era solo un accenno un attimo per rimarcare le coordinate.
Eppure, qualcuno obietterà che ci sono anche gli italiani poveri. È certo!
Ma a quest’ultimi hanno parlato indirettamente i rifugiati stessi l’altro giorno: hanno detto che uniti, compatti, arrabbiati, le loro voci, le nostre voci hanno un peso!
E non solo hanno un peso, ma hanno un senso, perché indirizzate verso i responsabili della povertà.
Non certo come il chiacchiericcio o la cloaca fascista che si è sentita in questi giorni.

Il discorso a questo punto si sposta su un’altra questione: la gestione politica che vogliono fare della questione. Partiamo e parliamo del fatto locale di Campli, per non addentrarci in discorsi più ampi, correndo il rischio di perderci.
Dopo la protesta nella cittadina farnese, infatti, la controparte politica ha “attaccato” l’amministrazione comunale per il fatto che questi ragazzi – i rifugiati – fossero abbandonati a loro stessi. Non fossero cioè, hanno detto, inclusi in progetti sociali nel territorio come ad esempio avviene nella vicina Torricella Sicura in cui i rifugiati, a turno, danno una mano agli operai del comune per opere di pulizia. Ora, noi, quello che questi ragazzi vogliono non lo sappiamo e quindi non possiamo né vogliamo parlar per loro. Può anche essere che qualcuno sarà contento di andare a tagliare l’erba o svuotare i cestini, ma lo sarà, pensiamo, come lo sono i detenuti che usufruiscono di “premi” e gli viene permesso di eseguire giornate lavorative all’esterno della struttura penitenziaria.
Quel che è certo però, è che i ragazzi che vengono tenuti come “rifugiati” nelle strutture di accoglienza vivono in una sorta di limbo, in attesa di un pezzo di carta che attesti il loro “stato” e concedi loro un po’ più libertà di movimento. In questa situazione è anche facile immaginare lo stato di esasperazione e di noia a cui i rifugiati sono sottoposti, che portano a proteste tipo quella di Campli. Perché, se dietro le richieste di vestiti, soldi, cibo e wi-fi, a cui moltissimi italianissimi hanno storto il muso, si celasse un bisogno ben più impellente, una spinta ben più vitale?
Se, il vero problema, fosse la mancanza di libertà che quei ragazzi non hanno?
Perché, oltre a non poter capire cosa vuol dire provare sulla propria pelle guerre e miseria, molti dei critici italianissimi di questi giorni non possono capire cosa vuol dire esser privati della libertà, come lo sono i rifugiati.
Per il semplice motivo che loro, gli italianissimi (o la gran parte di essi), non si sono mai messi in gioco, non hanno mai lottato, a differenza dei rifugiati che stanno a Campli.

Posted in critica radicale.