Antonio Giuseppe Moro era nato a Ortona dei Marsi (AQ) il 13 settembre del 1894 da Angelo (nato a San Vincenzo Valle Roveto (AQ) intorno al 1855) e da Lucia Filomena Pecce (nata ad Ortona dei Marsi (AQ) il 22 aprile del 1957). Antonio Giuseppe era l’ultimo di otto figli. Il padre era un ambulante di tessuti . Girava per i mercati dei vari paesi con il suo carro trainato da un mulo. E così un giorno conobbe e si innamorò, ricambiato, di Lucia Filomena.
Dopo il matrimonio il padre decise di dedicarsi alla vendita di materiali per falegnami e calzolai e arrivava, per questo, anche a Roma. Poi un’accusa di ricettazione, rivelatasi in seguito priva di fondamento, sconvolse la tranquilla vita della famiglia Moro. Il padre decise allora di emigrare con i due figli più grandi per gli Stati Uniti e precisamente nella città di Lawrence in Massachusetts. In questo periodo la madre, per aiutare il magro bilancio familiare, aprì un piccolo negozio a San Sebastiano. Il ragazzo si mostrò di salute cagionevole e camminò solo verso i cinque anni. In più aveva una strana e brutta piaga sulla testa che non sembrava voler guarire. Per questa ferita insegnanti e altri genitori non lo vollero a scuola. Un giorno la mamma lo portò fuori dal paese dove c’era una fontana in onore di Santa Lucia.
E lui, seguendo il consiglio della mamma, immerse la testa nella fontana più volte. Dopo due o tre giorni una crosta iniziò a formarsi e poco dopo la ferita sparì. (porterà con se e per sempre, nonostante le sue successive scelte politiche, il ricordo di quel momento). Nel 1911 lui e la madre raggiunsero in America il padre che purtroppo morì poco dopo. Il giovane Joseph trovò lavoro presso una fabbrica di scarpe nella città di Stoneham sempre nel Massachusetts. Condusse una vita tranquilla e riservata accanto alla madre fino a quando un giorno non conobbe, tramite il fratello maggiore Diodato, il tipografo Giovanni Eramo, anarchico convinto. Già nel 1912 Joseph iniziò a frequentare assiduamente gli ambienti anarchici e fu un crescendo inarrestabile. Sempre quell’anno, durante un raduno anarchico nella città di Lynn, il ragazzo abruzzese rimase fortemente affascinato dalle teorie rivoluzionarie che gli vennero fatte conoscere e che parlavano soprattutto di “giustizia sociale”. Da quel momento in poi decise di essere uno di loro. In quel periodo Joseph non trascurò mai il lavoro e neppure mancò di attenzioni verso la madre ed i fratelli. Gli amici anarchici impararono ad apprezzare le doti di passione e dedizione di questo abruzzese e un giorno Luigi Galleani, fondatore de la “Cronaca Sovversiva”, di lui ebbe a dire ” non ha paura di nulla e soprattutto non tradirebbe mai”. Non mancava mai alle manifestazioni ed era sempre pronto ad entrare in azione per volantinaggi e scioperi. Per tutto questo fu fatto oggetto di attenzione dalla polizia e l’azienda dove lavorava lo costrinse a licenziarsi. Ma Joseph, incurante di tutto continuò, anzi intensificò, il suo impegno con i compagni anarchici e trovò un nuovo lavoro, sempre in una azienda calzaturiera, presso la “Heiss& Son” di Cambridge. In quegli anni conobbe Sacco e Vanzetti. Di Sacco ricorderà “Aveva determinazione e una grande predisposizione al comando.”
Di Vanzetti: “ Nel parlare era poetico e convincente. Rimanevo per ore ad ascoltarlo. Quando aveva finito di parlare non potevi che pensare: la nostra battaglia è la più giusta.” Joseph legò sicuramente di più con Vanzetti (conservava una infinità di sue lettere) che fu più volte ospite della sua casa a Haverhill (dove intanto Joseph era andato ad abitare). Bartolomeo gradiva molto la cucina di “mamma Lucia” e poi a Haverhill trovava sempre un’ampia platea pronta ad ascoltarlo. Ma la tragedia era alle porte. Il governo Americano aveva la volontà di estirpare il movimento anarchico che riteneva un pericolo e usò ogni mezzo per farlo. Così un giorno toccò proprio a Sacco e Vanzetti. Accusati di vari e gravi reati finirono in carcere ed il successivo processo sancì la loro definitiva condanna a morte (tanti anni dopo saranno completamente riabilitati). Da questo giorno il ruolo di Joseph diventò nell’organizzazione, ogni giorno di più, centrale. Joseph generosamente mise a disposizione dell’organizzazione metà dei suoi guadagni in fabbrica. Divenne collaboratore de “La Notizia” ed entrò nel Comitato di difesa di Sacco e Vanzetti. Perse di nuovo il lavoro, venne pedinato dalla polizia e per un certo tempo gli si affiancò un italo-americano che poi si scoprirà essere un infiltrato della polizia. Fu anche più volte fermato ed arrestato ma poi sempre rilasciato. Una sera mentre era fuori casa con il suo cane, un fox-terrier, subì un’aggressione e fu solo il coraggioso intervento del suo cane a salvarlo. La lotta per restituire la libertà a Sacco e Vanzetti si fece ogni giorno più dura e le defezioni nelle fila del Comitato si registravano giornalmente. Rispetto a queste Joseph fu, come sempre, comprensivo: “lasciano per salvaguardare le loro famiglie”. In effetti contro e per intimorire gli amici di Sacco e Vanzetti tutto divenne tremendamente lecito.
Nel 1926, mentre la battaglia in favore dei due condannati a morte si fece cruenta, Amleto Fabbri fu costretto a lasciare il posto di segretario nel Comitato di Difesa (per Sacco e Vanzetti) per consentire di far tornare in America la sua famiglia. Si doveva trovare subito il sostituto. La scelta cadde su Joseph Moro che assunse anche l’onere di essere il tesoriere. Sarà lui a tenere i collegamenti con Sacco e Vanzetti, sarà ancora lui a mantenere i contatti con i vari e spontanei comitati che nascevano in ogni dove. Sarà lui ad incontrarli ed abbracciarli per l’ultima volta. Anni dopo dirà “ il 23 agosto del 1927 (data della esecuzione dei due anarchici mediante sedia elettrica) è stato il giorno più brutto della mia vita.”. Successivamente continuerà a recitare, ancora per qualche anno, un ruolo tra gli anarchici americani. Ma poi il suo impegnò diverrà sempre minore e Joseph Moro l’uomo che difese ed incontrò per ultimo Sacco e Venzetti tornerà nell’ombra.
Morta mamma Filomena (nel 1929) si legherà soprattutto a sua sorella Onorina (1886-1971) e suo marito Generoso Grassi detto “Jake” (1877-1964) anche lui originario di Ortona dei Marsi. Joseph Moro, che non si era mai sposato, sopravvisse a tutti i suoi cari e a tutti i suoi amici. Morì nel 1995 a 101 anni. Con se, nell’ultimo viaggio, volle le foto di due suoi compagni: Sacco e Vanzetti.
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