Il 9 febbraio oltre 2mila persone hanno percorso le strade di Teramo in un corteo contro la repressione. COMPLICI E SOLIDALI era lo striscione d’apertura e faceva riferimento alla giornata del 15 ottobre 2011 a Roma. Complici con chi, in quella giornata, si è ribellato. Solidali con chi, di quella giornata, sta pagando le conseguenze giuridiche. Un corteo che aveva apertamente dichiarato le sue intenzioni, un corteo pacifico ma determinato, e le ha rispettate in pieno. Un corteo che ha dichiarato queste intenzioni perché le riteneva valide in questo momento e che quindi non le considera valide in assoluto. Questo è un passaggio importante, perché riconosce quando è il momento di tirare il fiato e quand’è il momento di attaccare. Sottolineando il fatto che il momento di tirare il fiato serve esclusivamente per raccogliere i cocci, riflettere, ricompattarsi, riattaccare con più veemenza. Solo in quest’ottica un corteo pacifico assume valore. Solo inserito in un discorso di lotta più ampio che, proprio nella sua ampiezza, prevede diversi momenti. Ciò detto, riteniamo il corteo di Teramo un buon passaggio se inserito in tali propositi. Ed in tali propositi è, a detta di gran parte dei partecipanti, inserito. Quindi un buon passaggio.
Un altro aspetto su cui riflettere è il concetto di unità. Unità tra gli oppositori sociali, tra i ribelli, tra i rivoluzionari. O anche tra i vari movimenti di lotta, i vari gruppi d’opposizione radicale o tra le varie individualità in lotta. Se infatti è vero che, in molte circostanze il nemico è unico (lo stesso), come in questo caso la repressione, lo stesso non può dirsi né per il fronte, né tantomeno per la lotta. Infatti il fronte di attacco al nemico non può, né deve essere unico, perché ne limiterebbe le potenzialità di attacco, oltreché ne annullerebbe le differenze di azione. Un fronte unico aumenterebbe le problematiche interne ai ribelli, invece che risolverle. Aumenterebbe le possibilità di sconfitta, visto che gli attacchi vengono portati da un solo lato. Un fronte unico, inoltre, sarebbe in contraddizione col mondo per cui ci battiamo. Un mondo nel quale l’unicità è sinonimo di dominio e sopraffazione, e non può essere giustificata dal nemico comune da combattere. Quello detto per il fronte, ovviamente, vale anche per la lotta o, diremo noi, per le lotte. Che mai devono essere uniche, ma anch’esse dovranno essere diversificate, nei metodi soprattutto, visto che, per quando riguarda i contenuti – senza entrare troppo nel merito – stiamo parlando di un contenuto comune, di un nemico comune.
Tutto ciò, in ogni caso, comprende un rispetto tra i vari fronti e tra le varie lotte. Comprende un percorso fatto da diverse forze che convivono.
Qui si inserisce anche il nostro concetto di unità che prevede, solo quando possibile, un’unione delle diverse differenze e non una loro sintesi. Quindi l’unità vista come una possibilità, o meglio, come delle possibilità e non come un vincolo. Un’unità che, quando possibile, sappia esprimere tutto il potenziale dei diversi approcci e non la rinuncia di alcune loro parti. Quindi un’unità pratica che venga decisa di situazione in situazione, a seconda delle contingenze, da chi quelle situazioni le vive. Un’unità che sia il frutto delle varie affinità e non di un patto politico. Un’unità, per concludere, che sia tale anche quando in piazza, nelle strade, nelle proteste, nelle azioni non si è tutti insieme. Che sia, in poche parole, una somma e non un risultato.
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