In Salento, in queste settimane, l’opposizione al Tap (il gasdotto che porterà in Italia il gas dell’Azerbaijan) sta portando a situazioni di scontro con le forze dell’ordine poste a presidio delle zone del cantiere, della distruzione del territorio e delle piante che l’hanno nutrito per secoli.
Sempre in questi giorni un servizio televisivo andato in onda sulle “Iene” ha mostrato parte di quel che avviene nei Laboratori del Gran Sasso, l’acqua che ci fanno bere con l’ultimo eclatante caso avvenuto mesi fa. Al riguardo anche noi avevamo scritto un articolo ed ovviamente, preferiamo linkarvi questo.
Due facce della stessa distruzione, del sistema capitalistico che fagocita risorse a discapito di chi vive i territori, sulla pelle di quest’ultimi. La stessa distruzione avallata e foraggiata dalle istituzioni e permessa dai controllori dell’ordine sociale.
Due facce della stessa ondata di sdegno che in questi giorni sta provocando in tanti, in tantissimi, la volontà di reagire. Perché vedere tali soprusi non può lasciare indifferenti.
Molto spesso, però, quando si parla di devastazioni ambientali, per uscire dall’impasse “del proprio orticello”, si preferisce dire e sostenere, a ragione, che una determinata opera non vada fatta né lì, né altrove. Ed a ragione ciò viene sostenuto, altrimenti si rimarrebbe in un discorso localistico, facilmente aggirabile anche dal potere, con il collocamento della devastazione in luoghi dove essa incontrerebbe meno resistenza, ma i cui effetti nefasti sarebbero sempre sulla pelle di tutti. Tante volte però questo discorso trova con difficoltà riscontri pratici, con i quali la lotta può svilupparsi con forme di resistenza simili a quelle che avvengono in territori direttamente interessati.
Ma per quanto riguarda il gasdotto che porterà in Italia il gas dell’Azerbaijan, esso, dopo esser sbarcato sulle coste salentine, si ricollegherà alla rete SNAM nazionale, con (parlando del territorio abruzzese) l’intenzione di installare una centrale a compressione gas a Sulmona ed un tracciato che attraverserà tutta la fascia appenninica, altamente sismica, tra l’altro.
Ci vuole poco quindi per capire che il discorso no al TAP, né in Salento né ovunque, trova riscontri pratici anche nei luoghi che viviamo noi. Ci vuole ben poco per capire che i responsabili di questa ennesima devastazione sono ben identificabili anche oltre il territorio salentino. Ed il riconoscimento e l’attacco contro tali responsabili sarebbe un atto di solidarietà nei confronti di chi si sta realmente opponendo e resistendo, ben al di là dello sdegno che qualche immagine televisiva ci propina.
E lo stesso discorso vale per quel che concerne i Laboratori del Gran Sasso. E tocca farlo questo ragionamento prima che il consumo dello sdegno mediatico (dovuto al servizio televisivo) scemi e ci continuino ad avvelenare impunemente. I Laboratori del Gran Sasso hanno mezzi e responsabili, così come la Asl di Teramo ed il Ruzzo… se abbiamo qualcosa da dire e da fare soprattutto, a loro dobbiamo rivolgerci.
Perché chi sta resistendo in Salento ci sta mostrando chiaramente, con coraggio e dignità, che né le istituzioni né alcuna autorità potrà fermare queste devastazioni. Anzi, autorità ed istituzioni, ne sono i fautori ed i più strenui difensori. Mentre chi vi si oppone è chi si organizza, dal basso, e lotta in prima persona, mettendosi in gioco. Se vogliamo fare un atto di solidarietà nei confronti di chi sta lottando, i loro aguzzini si aggirano anche dove viviamo noi. E sono anche i nostri aguzzini. E staremo facendo un atto di resistenza anche per i nostri territori, un atto di libertà anche per le nostre vite.
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