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Ancora fuori le mura del carcere di Lanciano

Di domenica pomeriggio ci si ritrova quindi fuori le mura del carcere di Lanciano. Siamo un bel po’, da tutto l’Abruzzo, circa una trentina. E non è poco, di sti tempi, per un presidio in solidarietà a detenuti, come vengono definiti, “comuni”. A tratti c’è una leggera pioggerellina, più fastidiosa per l’attrezzatura elettrica, che infatti avrà diversi problemi, che per noi. Si monta gazebo e amplificazione nello stesso punto in cui l’abbiamo montato l’ultima volta, qualche mese fa. Solo che stavolta gli sbirri lo sanno e stanno lì ad aspettarci, in un bel po’, tra carabinieri, polizia, penitenziaria e digos. Anche l’attenzione rispetto al presidio è maggiore in confronto all’ultima volta, da parte dei tutori dell’ordine, del loro ordine. Gli ultimi giorni infatti ci hanno rincorso per notificarci tutta una serie di divieti per impedire la comunicazione tra dentro e fuori il carcere. Non importa, iniziamo il presidio, iniziamo con i nostri discorsi, con la nostra solidarietà, con gli insulti alle guardie e raccontando di altre mobilitazioni che ci sono state ultimamente in altre carceri per bisogni concreti. Come per l’aumento del prezzo dei francobolli nel carcere di Torino o come la protesta nel carcere di Teramo, a cui qualche anonimo, la sera prima del presidio lancianese, ha mostrato la propria solidarietà. Alterniamo interventi, con la musica, il disprezzo per le guardie, con grida e cori di libertà, il perché siamo lì solidali con i detenuti, allo spiegare il ruolo dei giornalisti proni alle direttive dell’amministrazione penitenziaria. Spieghiamo cosa pensiamo del carcere, del suo essere la massima infrastruttura del dominio. Parliamo della differenziazione tra detenuti e della premialità che viene concessa solo a chi subisce senza fiatare. Parliamo della lotta, come unico mezzo per migliorare la proprie condizioni di vita. Parliamo dell’acqua fredda nelle celle, dei riscaldamenti al minimo, delle rare docce e per brevi periodi, dell’uso di psicofarmaci per sottomettere ancor di più i detenuti, dello schifo del vitto, dei prezzi gonfiati del sopravvitto. Parliamo di chi specula nelle e delle carceri, degli interessi privati nell’edilizia penitenziaria. A tratti, da dentro si sentono urla, ma le minacce delle guardie saranno state talmente tanto efficaci da intimorire un bel po’ di persone rinchiuse. Chiediamo ai detenuti della mobilitazione che stavano facendo. Ma non vediamo luci accese nelle celle, o solo qualcuna qua e là. Ed ancora solo qualche risposta e delle urla lontane. Chiediamo ai carcerati se, per caso, li avevano spostati appositamente nell’altra ala del carcere, per impedire una comunicazione con noi lì fuori. Qualcuno risponde affermativamente! È una conferma del timore che i controllori hanno della solidarietà che si può espandere. Stavolta i nostri aguzzini, gli stessi aguzzini di chi sta dentro e di chi sta fuori il carcere, si son organizzati: cercando di rompere, in ogni modo, il flusso di solidarietà che può rinfocolare la lotta, e può rincuorare gli animi di chi è rinchiuso. Ma siam certi che non ci son riusciti, che le nostre voci hanno varcato le mura di quella prigione, per arrivare laddove lorsignori non volevano che arrivassero.

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